Guida alla gestione consapevole del periodo di letargo delle koi

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il freddo dei mesi invernali, caratteristico delle nostre latitudini a clima temperato, consente alle koi di poter effettuare un salutare periodo di “letargo”. Questo “stand by metabolico”, se affrontato e gestito correttamente, assicura un ritmo di crescita dei pesci “secondo natura”, promuovendo la proverbiale longevità e robustezza delle nostre koi.

Questo articolo è indirizzato ai koi keepers responsabili che desiderino imparare a gestire in maniera consapevolmente il proprio laghetto, evitando di affidarsi al caso o, peggio, a “chiacchiere da bar”!

Tale modalità gestionale richiede la comprensione di alcuni concetti base di fisiologia e di biochimica che, spiegati in modo semplice e chiaro, sono alla portata di chiunque. Occorre conoscere con precisione anche la sequenza cronologica stagionale delle operazioni da svolgere dato che si tratta di un ciclo continuo che si ripete ogni anno.

Per schematizzare iniziamo dalla primavera. Questa è la stagione più delicata in assoluto per le koi. Il lungo digiuno invernale è ormai terminato e l’aumento del fotoperiodo, prima ancora dell’innalzamento delle temperature, segnala alle koi che il periodo della riproduzione si sta avvicinando.

Karashigoi-Luca-Ceredi-Koi-Farm

Karashigoi-Luca-Ceredi-Koi-Farm

L’attività riproduttiva implica un notevole dispendio energetico quindi è necessario aver impostato un piano nutrizionale corretto.

Ad esempio, un ottimo alimento che io utilizzo per rimettere in moto l’apparato digerente delle koi è “l‘Hikari weath germ“.

Questo mangime, alternato quotidianamente al “ricostituente affondante” e “all’immunostimolante“, rappresenta una eccellente dieta primaverile.

Il graduale innalzamento termico mette in moto anche tutti i patogeni, quindi occorre spingere sull’acceleratore del sistema immunitario delle koi.

Trascorse circa tre settimane dalla prima somministrazione di cibo, possiamo arricchire la dieta dei nostri pesci aggiungendo il “koi cure“, un mangime studiato appositamente per lavorare sul sistema immunitario e per essere altamente digeribile anche a temperature ancora relativamente basse.

La frequenza, la quantità per singola somministrazione e le percentuali di ciascuna referenza sul totale vanno calibrate in relazione alla specifica zona climatica, all’inerzia termica del laghetto (a sua volta legata alla capacità e al profilo batimetrico) e alla biomassa di pesci rapportata al volume d’acqua, tanto per citare alcuni dei più importanti fattori di cui occorre tener conto.

Se davvero avete a cuore la salute delle vostre koi, affidatevi esclusivamente a rivenditori competenti che sappiano aiutarvi, con la loro professionalità, a valutare tutti questi aspetti della vostra specifica realtà.

Tutto il periodo estivo rappresenta il momento migliore per preparare le koi all’inverno.

L’attività metabolica delle carpe è al massimo e l’appetito pure!

Dobbiamo approfittarne, affinché i pesci possano immagazzinare le riserve energetiche necessarie ad arrivare a fine inverno in buona forma.

Il mangime “top class koi” alternato al “Saki hikari balance” e al mangime con spirulina, rappresenta un valido aiuto per soddisfare il complesso fabbisogno nutrizionale delle koi.

Una dieta varia e di qualità è il presupposto senza il quale diventa impossibile mantenere i nostri pesci in buona salute sul lungo periodo.

Troppo spesso mi accorgo di quanto sia sottovalutato questo aspetto del koi keeping.

I pesci vengono alimentati con un solo tipo di cibo dalla primavera all’autunno, nella assurda convinzione che “quel mangime” possa contenere TUTTO ciò di cui le carpe hanno bisogno.

Questa concezione utopistica porta all’inevitabile disastro.

Con queste premesse, dovrebbe essere chiaro che la preparazione all’inverno inizia a partire dalla primavera e non all’arrivo delle prime brinate.

Trattandosi di pesci che popolano le acque dolci temperate, le carpe possiedono degli specifici meccanismi di adattamento fisiologico per riuscire a regolare la loro attività metabolica in relazione alle notevoli variazioni climatiche stagionali.

Tutto ciò richiede tempo.

Quando arrivano i primi freddi ormai i giochi sono fatti.
Prima che la temperatura dell’acqua scenda sotto gli 8 gradi centigradi, è buona norma interrompere la somministrazione di cibo.

In questa fase dell’anno, occorre fare attenzione ai cambiamenti fisico-chimici dell’acqua.
Il carico organico si riduce notevolmente dato che i pesci non si alimentano più, quindi possiamo dilatare l’intervallo di somministrazione dei “batteri depuranti“.
Le piogge abbondanti e frequenti e le nevicate diluiscono notevolmente la concentrazione dei sali carbonati.

Com’è noto, la famiglia dei carbonati costituisce un’importante risorsa di sali minerali biodisponibili, costantemente utilizzati dagli organismi acquatici per le loro funzioni vitali.

Inoltre, la durezza carbonatica, cioè il KH (misura della concentrazione dei sali carbonati disciolti in acqua) è chiamata anche durezza tampone poiché svolge il ruolo di stabilizzatore del valore di pH.

La diluizione del KH può ridurre drasticamente la capacità tampone di questi sali con conseguenti sbalzi di pH, spesso letali per le koi.

Si può facilmente evitare tutto ciò testando regolarmente il valore di KH e aggiungendo i sali minerali KH+.

Questa speciale miscela di sali, oltre a stabilizzare il pH, si deposita nel biofilm delle superfici sommerse, simulando un fondo naturale, ricco di microorganismi e minerali utili.

Un ulteriore accorgimento a tutela della salute delle nostre amate koi, è quello di aggiungere un buon “biocondizionatore” all’acqua del laghetto durante e dopo le abbondanti precipitazioni. Soprattutto per coloro che abitano nelle grandi città, le acque di prima pioggia rappresentano un fattore di rischio a causa delle particelle inquinanti che queste raccolgono col dilavamento atmosferico.
Il biocondizionatore protegge le mucose dei pesci (pelle e branchie) legando queste particelle e rendendole innocue.

La pelle dei pesci è ricoperta da un sottile strato di muco che li rende viscidi al tatto e protetti dagli agenti patogeni.
La funzionalità delle lamelle branchiali è di vitale importanza per le koi poiché esse rappresentano un importante organo di scambio tra il corpo del pesce e l’ambiente acquatico.

Oltre alla protezione delle mucose, il regolare utilizzo di un biocondizionatore ricco di vitamina C stabilizzata, riduce notevolmente il rischio di stress nei pesci.

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Effetti diretti e indiretti delle basse temperature sulla fisiologia e sul metabolismo delle koi.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]La più elementare classificazione degli animali, in relazione alla temperatura, si basa sulla provenienza del calore corporeo.
Gli ENDODERMI lo generano in proprio, mentre gli ECTOTERMI risultano quasi totalmente dipendenti dall’ambiente che li circonda.
Gli endotermi, cioè tutti gli uccelli e i mammiferi insieme ad alcuni vertebrati inferiori e a qualche insetto, mantengono la loro temperatura corporea ben al di sopra di quella ambientale.
Sebbene la maggior parte di questi animali abbiano un buon isolamento fornito da pellicce o da piume, essi mantengono il proprio calore con un notevole dispendio metabolico.
L’attività metabolica di un endotermo a riposo risulta almeno cinque volte più elevata di quella di un ectotermo pari taglia.
Gli ectotermi (ad esempio le koi) mostrano dei tassi di produzione di calore metabolico molto bassi associati ad una elevata conduttanza dermica, cioè possiedono uno scarso isolamento.

Di conseguenza, il calore derivante dai processi metabolici viene rapidamente dissipato nell’ambiente.
D’altra parte, l’elevata conduttanza termica consente agli ectotermi di assumere rapidamente il calore dall’ambiente cosicché la temperatura corporea di questi animali si accorda passivamente con quella ambientale.
Quindi, l’attività metabolica della maggior parte degli ectotermi, carpe comprese, è condizionata da una temperatura corporea variabile, diventando due o tre volte più elevata per ogni aumento di 10 gradi della temperatura ambientale.
Le carpe Cyprinus carpio sono teleostei (pesci ossei) che abitano le acque temperate di quasi tutto il pianeta.

Questi ambienti, per loro natura, sono soggetti ad importanti escursioni termiche stagionali.
I pesci che le popolano, carpe comprese, possiedono dei sistemi enzimatici con un intervallo ottimale di temperatura notevolmente ampio che consente loro di vivere senza alcun problema durante tutte le stagioni.
Al contrario, i pesci tropicali possiedono solo alcuni tipi di enzimi che funzionano in un intervallo di temperatura molto ristretto.

Le oscillazioni termiche naturali, tipiche degli ambienti temperati, inducono nelle carpe delle modificazioni compensatorie fisiologiche che le aiutano a far fronte alle condizioni estreme di caldo e di freddo.
Le koi che vivono in laghetti degni di tale nome (con una capacità ed una profondità adatte ad ospitare questi pesci) durante le settimane autunnali, mettono in atto numerosi adattamenti biochimici compensatori per poter affrontare il freddo invernale.
L’insieme dei cambiamenti fisiologici che intervengono in questo tipo di adattamento è detto ACCLIMATAZIONE.
Affinché tutto ciò possa avvenire con successo, è fondamentale che le koi siano state alimentate correttamente durante il lungo periodo di attività metabolica, che va dall’inizio della primavera al tardo autunno.[/vc_column_text][vc_video link=”https://youtu.be/EtKPPMiZiS4″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]In questo articolo, non mi dilungherò sulle caratteristiche di una dieta corretta e bilanciata per le koi: il vostro rivenditore di fiducia avrà sicuramente la competenza necessaria per consigliarvi al meglio.
Fatte le dovute premesse, vediamo come gestire le koi in inverno.Prima di tutto, ci tengo a chiarire una cosa:
Sono ormai parecchi anni che allevo koi e cerco di produrre esemplari sempre più belli, facendo comunque molta attenzione al fatto che, la qualità del fenotipo cresca di pari passo ad un elevato standard genotipico.
In altre parole, il mio obiettivo è quello di fare nascere koi belle e robuste, in grado di incarnare quell’ideale di bellezza, forza e resistenza alle avversità proprie della tradizione orientale dalla quale derivano e che, a mio avviso, i giapponesi stessi stanno perdendo, dando la priorità al business.
Allevare delicatissimi soprammobili non rientra tra i miei obiettivi.
Le mie koi nascono, crescono, vivono e si riproducono sempre e solo all’esterno.

 

[/vc_column_text][vc_video link=”https://youtu.be/ywRe9RtDHII”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]La koi Farm è situata in una valle dove, in inverno, le temperature scendono abbondantemente al di sotto dello zero e la superficie dei laghi e delle vasche ghiaccia, sempre.
Ogni inverno, si forma uno spesso strato di ghiaccio tanto che io, che peso 85 kg, riesco a camminarci sopra.
Prima di poter essere vendute, le tosai trascorrono il loro primo inverno sotto il ghiaccio in letargo, senza mangiare per quasi 4 mesi, cosicché, ad Aprile, ho la certezza di poter offrire pesci sani e robusti, oltre che belli!
Durante l’inverno, il ghiaccio ricopre circa il 90% della superficie dell’acqua, ma questo non crea alcun problema alle koi per i seguenti motivi:

  • sia i laghi che le vasche hanno una profondità sufficiente ad evitare di surgelare i pesci
  • Il flusso delle pompe che pescano acqua dal fondo viene ridotto per favorire il mantenimento del termoclino, cioè un gradiente termico tra superficie e fondo, che si inverte tra estate e inverno.
  • Il flusso d’acqua della pompa degli skimmer ( che pesca acqua solo dalla superficie ) viene mantenuto costante per garantire un buon ricircolo superficiale in modo da mantenere sempre delle aree libere dal ghiaccio. Infatti, l’acqua che possiede energia cinetica, congela ad una temperatura più bassa rispetto a quella ferma.
  • Le basse temperature favoriscono la solubilità e la permanenza dell’ossigeno in acqua, consentendo una soglia di saturazione molto elevata. ( Legge di Boyle, legge di Henry, legge di Dalton, principio di Pascal )
  • Le koi possiedono, per natura, tutti gli strumenti, i meccanismi e gli adattamenti fisiologici necessari per fare fronte alle variazioni termiche stagionali, tipiche delle zone temperate.
  • rispettare i ritmi naturali di crescita, scanditi dall’alternarsi delle stagioni, è di vitale importanza per i pesci che popolano gli ambienti temperati.
  • un periodo di almeno 8/12 settimane di “letargo” fovorisce alcuni processi metabolici di fondamentale importanza ( consumo di riserve lipidiche, cicli ormonali ecc.) per un naturale sviluppo fisico e fisiologico delle koi.
  • Carpe nate e cresciute all’aperto, durante tutte le stagioni, risultano inequivocabilmente più forti e robuste rispetto a quelle che, sin dal primo anno di vita, trascorrono l’inveno in serra.

Purtroppo, mi capita spesso di sentire opinioni in materia di “gestione koi” che assomigliano più a chiacchiere da bar o a deliri folli piuttosto che a consigli e raccomandazioni fondate su basi scientifiche concrete.

Tuttavia, in certe situazioni, può essere rischioso lasciare che le koi possano andare in letargo.

Si tratta di casi molto particolari e specifici, ad esempio di koi in convalescenza o che, per varie ragioni, sono state male nutrite o denutrite, ma anche, purtroppo, di carpe allevate come “delicati soprammobili” che, per quanto belle possano essere, a mio modesto parere hanno perso totalmente il fascino originale del sapiente mix tra forza, bellezza ed eleganza.

Rimanendo sempre nell’ambito dei pareri personali, ritengo che la bellezza di una koi non sia circoscritta unicamente al suo aspetto, quindi al suo fenotipo, quanto piuttosto comprenda anche il suo comportamento, inclusa la capacità di fare bella mostra di se in un laghetto inteso come ecosistema acquatico, durante tutte le stagioni, senza costringere il proprietario a vivere con l’ansia che possa succedere una tragedia causa di una rana, una libellula o il ghiaccio (tanto per menzionare alcune tra le paturnie più diffuse)!!!

La mia formazione scientifica mi porta a progettare, costruire e gestire un laghetto come un piccolo ecosistema acquatico, semplicemente “copiando” i processi biochimici messi a punto dalla natura.

Per questo, non riesco proprio ad apprezzare quelle vasche coibentate come se fossimo alle Svalbard ( arcipelago del mare glaciale artico ) e gestite come un idromassaggio, con l’impiego ( io direi “lo spreco”! ) di una grande quantità di energia elettrica e dove, per poter osservare le koi, bisogna spegnere pompe e aeratori.

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Facciamo chiarezza:

La nomenclatura giapponese relativa all’età delle koi:
Mi trovo a scrivere questo articolo poiché ho notato, con grande dispiacere, che persiste una enorme confusione riguardo alla classificazione delle età delle koi.

Si tratta di un utilizzo scorretto della nomenclatura giapponese che parte proprio dalla scarsa conoscenza di questa lingua ma spesso anche da una classificazione “volutamente ritoccata” per fare sembrare le koi più giovani di quello che in realtà siano.

È indispensabile che tutti, partendo dai professionisti del settore, si rendano conto dell’importanza di un corretto utilizzo della classificazione ufficiale giapponese dell’età delle koi.
Faccio una premessa:

In circostanze normali, le koi si riproducono una volta all’anno e il periodo della deposizione va dai primi di Maggio fino quasi alla fine di Giugno con qualche leggera variazione in base alla zona climatica.

Ad esempio, nella mia koi Farm, tutte le deposizioni avvengono a partire dalla metà di Maggio fino alla fine del mese di Giugno.

Facendo sempre riferimento al mio allevamento, nei mesi di Gennaio e Febbraio, le giovani koi, cresciute rigorosamente all’aperto, misurano circa 12/15 cm.

Queste koi di circa 8 mesi, hanno trascorso quasi la metà della loro vita in letargo invernale.

Secondo la nomenclatura ufficiale, potremmo definirle Tosai poiché non hanno ancora compiuto un anno di età ma, ad essere più precisi, dovremmo chiamarle “ake nisai” letteralmente, “all’alba dei due anni“!

Quindi si tratta di koi che hanno quasi COMPIUTO un anno di età.

Se tutti cominciassimo ad utilizzare correttamente questa terminologia, sarebbe facile farla diventare ” di uso comune” e di semplice comprensione.

Le mie koi vengono messe in vendita SOLAMENTE a partire dalla prima Domenica di Aprile dell’anno successivo a quello di nascita, dopo aver superato il loro primo inverno sotto il ghiaccio.

Al momento della vendita, all’inizio di Aprile, hanno tra i 10 e gli 11 mesi, e misurano 15/20 cm circa e siccome non hanno ancora compiuto l’anno di età, possono essere chiamate tosai oppure, come abbiamo già detto, ake nisai.

Ci tengo particolarmente a specificare questi dati poiché troppo spesso, durante i mesi estivi ed autunnali, mi capita di vedere molte koi di importazione che vengono commercializzate come Tosai ma che, per ovvi motivi anagrafici, hanno già abbondantemente compiuto un anno e quindi sono Nisai.
Tutto ciò trasmette inevitabilmente un messaggio errato ed ingannevole!

Quindi:
La parola Nisai NON significa “koi di due anni” ma ” koi che sta vivendo il suo secondo anno di vita”!!!!

Così come il termine Sansai indica una koi che ha già compiuto due anni e che è entrata nel suo terzo anno di vita!
Per chi ancora possa avere dei dubbi, faccio presente che lo schema sopra riportato è tratto dalla rivista ZNA Nichirin, quindi da ritenersi assolutamente autorevole ed inconfutabile.

Consigli per prevenire i danni delle gelate invernali.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Nella gestione annuale della mia koi Farm, i mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio sono caratterizzati dalla costante presenza del ghiaccio.

La brina sul muschio

Il mio allevamento è situato in una valle che, durante i mesi invernali, è spesso interessata dai freddi venti da Nord che mantengono costantemente basse le temperature, anche durante le ore centrali della giornata.

Naturalmente questo clima rigido condiziona in maniera radicale la vite delle mie koi e anche la mia.

Camminata sul ghiaccio

Tutte le mie koi, partendo dalle tosai per arrivare ai riproduttori, vengono allevate all’aperto, durante tutte le stagioni.

Durante l’estate, l’acqua dei due laghi e quella delle vasche di allevamento rimane per almeno 6/8 settimane ad una temperatura molto vicina ai 30 gradi centigradi mentre, nei mesi invernali, le koi rimangono sotto ad una spessa coltre di ghiaccio per almeno 3 mesi.

Lo studio della fisiologia dei pesci insegna che queste temperature “estreme”, di poco sopra lo zero e attorno ai 30 gradi, innescano nel corpo delle koi alcuni importantissimi processi metabolici che garantiscono la loro salute sul lungo periodo.

Ad esempio, il consumo delle riserve lipidiche ed alcuni processi ormonali legati al corretto funzionamento delle gonadi possono verificarsi solamente se la temperatura dell’acqua rimane costantemente alta o bassa per alcune settimane consecutive.

Nel suo libro KOI 1, il famoso autore ed esperto di koi Harald Bachman consiglia, rivolgendosi agli hobbisti nord europei, di spegnere il riscaldamento per almeno 4 settimane durante l’inverno per lasciare raffreddare l’acqua e di accenderlo durante l’estate per aiutare la temperatura a salire fino a sfiorare i 30 gradi.

Il laghetto in estate

 

Fortunatamente, nella maggior parte delle regioni italiane, non è necessario adottare questi stratagemmi ma è sufficiente lasciare fare al clima.

Se le koi sono state alimentate correttamente nella precedente stagione estiva, non avranno alcun problema ad affrontare i rigori dell’inverno.

Ovviamente, il laghetto o la vasca devono essere sufficientemente profondi da scongiurare un surgelamento dei pesci.

Koi sotto il ghiaccio

Anche la gestione dei filtri gioca un ruolo fondamentale per evitare i danni del ghiaccio poiché l’acqua in movimento tende a non congelare, mantenendo una circolazione costante sotto la superficie ghiacciata.


Nelle vasche di allevamento, sprovviste di botto drain, durante i mesi più freddi, sposto la pompa del filtro in prossimità della superficie, così, nell’eventualità di un blocco del filtro a camere a causa del ghiaccio, non corro il rischio di vuotare la vasca e ritrovarmi i pesci “nella granita”!

Invece, nel lago grande dove le pompe pescano dai dreni di fondo, già a partire dal tardo autunno, riduco drasticamente la portata d’acqua che attraversa il filtro, in modo da conservare quel minimo di termoclino consentito dal profilo batimetrico.

Con questo tipo di gestione, la superficie del lago grande ghiaccia quasi completamente, fatta eccezione per le zone attorno alla cascatella e agli skimmer.

La cascata ghiacciata

 

Per quanto riguarda il lago piccolo, invece, le zone libere dal ghiaccio sono circoscritte al punto di ingresso dell’acqua proveniente dal filtro del lago principale e all’area attorno all’imbocco del ruscello che riporta l’acqua nel lago grande.

Attraverso lo spesso strato di ghiaccio posso osservare il comportamento delle koi che non sembrano affatto disturbate dal freddo.​

Chiaramente il loro metabolismo è estremamente rallentato quindi anche il loro appetito è praticamente azzerato fatta eccezione per le karashigoi e le chagoi che continuano a brucare il fondale, quasi a ricordarci la loro affinità genetica con la carpa ancestrale.

Io smetto di alimentare le koi già a partire dalla metà di Novembre, poiché con la temperatura dell’acqua al di sotto dei 10 gradi sussiste il rischio di un blocco digestivo con esito mortale.

Questi mesi di digiuno pressoché completo non compromettono minimamente lo stato di salute delle koi a condizione che siano state correttamente alimentate durante la precedente stagione estiva ed autunnale.

Se vogliamo che le nostre carpe arrivino in perfetta forma alla stagione primaverile, occorre pianificare (magari con l’aiuto di un esperto) un anno per l’altro il regime alimentare che le koi dovranno seguire, poiché i risultati di una dieta sana, varia ed equilibrata si vedono soprattutto sul lungo periodo.


Al contrario, le koi alimentate con un solo tipo di mangime durante tutta l’estate e magari tenute a “stecchetto” perché “altrimenti il filtro non ce la fa”, potrebbero non sopravvivere all’inverno o arrivare a primavera molto indebolite, andando incontro a notevoli problemi di salute quali parassitosi e batteriosi con l’arrivo del caldo.

Concludo ricordando che il filtro non dovrebbe MAI essere il “fattore limitante”nella gestione di un laghetto.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Caratteristiche costruttive e funzionali di un filtro a letto fluido

Negli ultimi anni, l’evoluzione dei filtri biologici per uso hobbistico ha portato all’impiego di tecniche di biodepurazione tipiche dell’acquacultura anche nei laghetti ornamentali.

Tra questi sistemi, spicca la filtrazione biologica su carriers fluttuanti.

Si tratta di un metodo che sfrutta l’attività depurativa di colonie batteriche adese ad un substrato sintetico in polietilene vergine ad alta densità. carriers fluenti

Questo carrier dalla forma simile ad un maccheroncino, possiede un’enorme superficie fruibile dai batteri e una volta maturo è caratterizzato da un peso specifico di poco inferiore a quello dell’acqua.

1

È sufficiente l’impiego di una moderata aerazione per mantenere i carriers in moto convettivo e per garantire il corretto apporto di ossigeno necessario all’azione ossidante dei batteri.

Scopri di più sull’aeratore professionale:
aeratore-professionale

Il biofilm che si crea sia sulla superficie esterna e sulle superfici interne di ciascun carrier viene continuamente lambito da un costante flusso di acqua e l’effetto delicatamente abrasivo delle bolle d’aria e dell’attrito con gli altri carriers contribuisce ad eliminare le colonie batteriche invecchiate, mantenendo il biofilm in perfetta efficienza.

Al contrario di ciò che accade nei tradizionali filtri biologici a letto statico con cannolicchi o aquarock, nei filtri a letto fluido la manutenzione è estremamente ridotta poiché l’accumulo dei fanghi è praticamente inesistente.

I macro organismi che vivono sulle lamelle interne dei carrier infatti, si nutrono di fanghi e di colonie batteriche morte, evitandone l’accumulo.

I filtri a letto fluido moderni, progettati e costruiti appositamente a questo scopo sono i cosiddetti filtri a pozzetto.

filtro-a-pozzetto

Si tratta di strutture simili ai tradizionali filtri a camere, con tanto di scompartimento iniziale dedicato alla filtrazione meccanica tramite spazzole per poi arrivare alle camere che ospitano i carriers del letto fluido.

A differenza dei tradizionali filtri con camere in serie, i moderni impianti a pozzetto sono strutturati in modo tale che il flusso dell’acqua attraversi le camere del letto fluido “in parallelo”.

Questo consente di dividere equamente la portata d’acqua in entrata, riducendo sensibilmente la velocità del flusso in ciascuna camera e quindi, il tempo di contatto tra le molecole d’acqua e le colonie batteriche adese ai carriers aumenta sensibilmente.
Inoltre, il movimento convettivo dei maccheroncini, mantenuto costante da una moderata aerazione, favorisce un trattamento omogeneo del lusso di acqua che attraversa ciascuna camera.

Questa organizzazione delle camere in parallelo consente, qualora fosse necessario, di isolare una o più camere, mantenendo operative le rimanenti.
Se, ad esempio, si desidera somministrare un prodotto a base di si può interrompere il flusso in una camera, somministrare i batteri per poi ripristinare il flusso il giorno dopo.

batteri depuranti, batteri-depuranti

Durante queste ore di isolamento, i carriers rimangono a stretto contatto con il prodotto aggiunto e l’aerazione garantisce un ottimale attecchimento dei nuovi ceppi batterici oltre al mantenimento in vita di quelli già presenti sui carriers.

Nella mia Koi Farm utilizzo filtri a pozzetto di fabbricazione italiana, costruiti in polipropilene termosaldato.
Questo materiale, completamente atossico, è caratterizzato da una notevole resistenza agli agenti atmosferici, alle escursioni termiche stagionali e all’usura in genere.
Ciascuna camera è dotata di un proprio scarico dei fanghi con valvola Valterra da 50mm.

Inoltre, qualora ce ne fosse la necessità, tutte le camere dedicate al letto fluido possono essere bypassate semplicemente chiudendo le saracinesche di ingresso alla parte biologica ed aprendo il tubo da 110 mm posto alla fine del “corridoio” di smistamento del flusso.
Con questo assetto, solamente la camera riempita di spazzole per la filtrazione meccanica viene interessata dal flusso di acqua.

Oltre ai filtri a pozzetto che rimangono lo strumento ottimale per l’impiego di carriers a letto fluido, esistono altre possibili soluzioni che possono essere adottate per riuscire ad utilizzare questo tipo di materiali.
Ad esempio, per chi già possiede un tradizionale filtro a camere, con alcuni opportuni accorgimenti, è possibile sostituire il tradizionale letto biologico statico di matala, aquarock, cannolicchi o crystalbio ecc.. con il letto fluido, migliorandone notevolmente la resa biologica e riducendo drasticamente la necessità di manutenzioni.

filtro-a-5-camere

Per attuare questo genere di upgrade bisogna, prima di tutto, costruire delle “gabbie” per contenere i maccheroncini fluttuanti e allo stesso tempo, consentire al flusso di acqua di permeare in maniera omogenea l’intera camera.

gabbie

A questo scopo, io utilizzo dei pannelli di rete in plastica rigida, con finestre da 12×12 mm che si sono rivelate ottimali.
Il pannello di fondo della gabbia consente di fissare le pietre porose dell’aeratore in modo da ottenere una omogeneità del flusso d’aria, favorendo il corretto moto convettivo dei carriers.

A questo punto, il tradizionale filtro a camere è diventato a tutti gli effetti un impianto a letto fluido con un notevole miglioramento in termini di performance, anche se non può essere utilizzato con gli stessi vantaggi di un filtro a pozzetto con camere in parallelo.

In conclusione, posso confermare grazie anche all’esperienza diretta, la straordinaria efficacia dei filtri a letto fluido, in particolare quelli a pozzetto.

La corretta gestione del Biofilm

Impariamo a sfruttare il biofilm che si sviluppa sulle superfici sommerse del laghetto.

Che cos’è il biofilm?

Il biofilm e’ un sottile strato, dello spessore di pochi millimetri che ricopre ogni centimetro quadrato di superficie sommersa del laghetto.

Il biofilm e’ costituito da una componente abiotica e da una componente biotica.

La componente abiotica, composta da sali minerali della famiglia dei carbonati e altre sostanze argillose, funziona come substrato dove proliferano micro organismi di vario genere, batteri depuranti ed alghe che costituiscono la componente biotica.

Che aspetto ha il biofilm?

Un biofilm maturo si presenta come un sottile strato di copertura, di colore verde/ bruno, saldamente attaccato al fondale e alle pareti del laghetto, alle rocce e ad ogni superficie sommersa.

Indipendentemente dal materiale di costruzione del laghetto, sia esso cemento o telo, un biofilm maturo e’ saldamente adeso a tutte le superfici sommerse.

A cosa serve il biofilm?

Il biofilm riveste un ruolo fondamentale nel mantenere un’elevata qualità ambientale nell’ecosistema del laghetto poiché al suo interno avvengono alcuni importantissimi processi biochimici ad opera dei batteri depuranti, dei microorganismi detritivori e delle piccole alghe sessili.

La presenza di un biofilm maturo e’ così tanto importante da condizionare radicalmente la salute degli organismi acquatici che abitano il laghetto.

Senza di esso, non è possibile mantenere i pesci in salute.


In quanto tempo si forma il biofilm?

Generalmente occorrono alcuni mesi affinché si possa formare un biofilm maturo ma le tempistiche sono molto variabili e dipendono da:

1) in quali mesi dell’anno e’ stato avviato il laghetto.

2) con quale materiale e’ stato impermeabilizzato il laghetto.

3) con quali prodotti viene gestito il laghetto a livello di biologia, in particolare, sali minerali e batteri.

4) il profilo batimetrico del laghetto in questione.

Analizziamo ciascun punto singolarmente:

1) se il laghetto viene riempito ed avviato durante la primavera, l’aumento delle temperature e della durata del fotoperiodo favoriranno una più rapida formazione del biofilm.

2) generalmente, nei laghetti costruiti in cemento, il biofilm si fissa più rapidamente rispetto a quelli impermeabilizzati col telo poiché, grazie ad un maggior grado di porosità, i sali minerali aderiscono meglio alle superfici sommerse, favorendo la formazione di un sottile strato argilloso che costituisce il substrato ottimale per la proliferazione dei microorganismi acquatici animali e vegetali.

3) una gestione consapevole del laghetto, utilizzando prodotti professionali di alta qualità come batteri depuranti e sali minerali KH+ ed evitando inutili e faticose operazioni di pulizia, contribuisce al successo della fase di maturazione iniziale oltre a migliorare il mantenimento dei pesci sul lungo periodo.

4) un profilo batimetrico naturale a forma di “V” garantisce una più ampia superficie sommersa rispetto ad un profilo ad “U” con pareti verticali.

A sua volta, un’ampia superficie sommersa funziona come una grande espansione del filtro biologico favorendo il mantenimento di un elevato standard qualitativo dei parametri fisico/chimici dell’acqua.

Come si può valutare lo stato di maturazione del biofilm in un nuovo laghetto?

Un biofilm maturo si presenta come un sottile strato, di colore verde muschio, costituito da un corto tappetino di alghe piuttosto omogeneo e saldamente adeso al substrato.

Se lo si gratta con un dito, sotto le alghe si può notare uno strato di circa 2mm di sali minerali di colore marrone chiaro, quasi giallognolo.

Al contrario, un biofilm ancora immaturo tenderà a staccarsi e a disgregarsi solamente al passaggio della mano.

I pesci si nutrono del biofilm?

Le Koi si nutrono della componente vegetale del biofilm.

Spesso, e’ possibile vederle mentre brucano le alghe, ingerendo contemporaneamente anche i microorganismi ed i sali minerali che costituiscono questo importantissimo strato ricco di vita.

Se osserviamo il comportamento di una carpa selvatica che abita un fiume o un lago naturale, risulta evidente come la sua attività principale, durante tutto l’arco della giornata, consista nella ricerca del cibo, grufolando sul fondo.

Nel substrato bentonico naturale, la carpa trova una grande varietà di organismi di cui nutrirsi oltre agli importantissimi sali minerali.

Generalmente, i laghetti ornamentali hanno il fondo in cemento o in telo e le Koi non possono nutrirsi costantemente come fanno le loro cugine in natura.

Lo sviluppo di un buon biofilm consente alle Koi di poter avere a disposizione una fonte di cibo praticamente inesauribile che va ad integrare la dieta a base di mangimi specifici.

brucando il biofilm

 

 

Il biofilm influenza la chimica dell’acqua del laghetto?

All’interno del sottile strato del biofilm avvengono alcuni dei più importanti processi biochimici fondamentali per mantenere un elevato standard qualitativo dell’acqua del laghetto.

Inoltre, lo strato di sali minerali carbonatici favorisce la stabilità del valore di pH, funzionando da tampone, soprattutto nei periodi con forti precipitazioni meteorologiche.

L’assenza di questo strato minerale comporta un concreto rischio di consistenti oscillazioni del valore di pH, potenzialmente letali per i pesci.

Nella eventualità di una fioritura di alghe filamentose e’ necessario svuotare il laghetto e ripulire bene le superfici sommerse?

Assolutamente NO!!!

Per una definitiva risoluzione di questo problema rimandiamo il lettore all’articolo “come gestire correttamente le alghe filamentose”.

Alimentazione e cura delle carpe koi in primavera.

Aiutiamo le nostre Koi ad affrontare al meglio la stagione primaverile e godiamoci il laghetto con la massima serenità in questa splendida stagione.

La primavera è alle porte, a Marzo il fotoperiodo è già aumentato e continuerà a farlo.

Questo è il primo stimolo che avvisa le Koi dell’imminente cambio stagionale.

Ancora prima che l’acqua inizi a scaldarsi, il repentino aumento delle ore di luce influisce in maniera diretta sull’attività metabolica delle koi che incominciano ad essere sempre più attive.

Anche se le temperature sono ancora basse, le carpe sono sempre più in movimento, alla ricerca di qualcosa da mangiare.

 

 

Le basse temperature invernali ed il lungo digiuno hanno messo a dura prova il sistema immunitario dei pesci.

L’apparato digerente delle Koi e’ stato fermo per alcuni mesi, in una sorta di letargo, dove il metabolismo dei pesci era ridotto al minimo, mantenendo attive le funzioni vitali di base.

Questa fase di letargo invernale, del tutto naturale per i pesci che abitano le acque temperate, consente alle koi di poter consumare le riserve energetiche accumulate durante la precedente stagione estiva, innescando alcuni importanti processi fisiologici essenziali.

Ora è il momento di rimettere in moto tutta la fisiologia delle Koi, iniziando proprio con l’alimentazione.

In questo periodo le temperature sono molto “ballerine”, poiché le prime tiepide giornate di sole si alternano a fredde settimane piovose.

la primavera è un momento molto delicato

 Sarebbe molto pericoloso se un improvviso sbalzo termico bloccasse il processo digestivo nelle Koi.

Infatti, la fermentazione del mangime eventualmente non digerito potrebbe causare problematiche spesso letali nelle carpe.

Per questo è fondamentale scegliere la dieta giusta per la primavera ed è altrettanto importante somministrarla correttamente, sia nelle quantità che nelle tempistiche.

Anche in questo caso, i consigli e l’assistenza di un professionista qualificato ed esperto sono di fondamentale importanza per evitare errori.

Di solito, inizio la stagione somministrando alle koi, piccole quantità del mangime ricostituente affondantea granulometria fine, un alimento molto appetibile e digeribile anche alle basse temperature, comunque non inferiori agli 8 gradi centigradi.

Cerco di somministrarlo in quantità ridotte, durante le ore centrali e più calde della giornata, inoltre, la granulometria fine favorisce una digestione più rapida, riducendo i rischi di cui sopra.

In alternativa, le mie koi vengono alimentate anche con i mangimi Koi cure e “immunostimolante”, entrambi galleggianti, due ottimi cibi primaverili ad alta digeribilità e anch’essi contenenti diverse componenti capaci di stimolare il sistema immunitario.

Ottimi per questo periodo sono anche le referenze Hikari Saki Balance e Hikari weath germ che rappresentano una eccellente opportunità di integrazione alimentare, allo scopo di poter offrire una dieta veramente completa e bilanciata alle nostre carpe.

Infatti, una dieta varie ed equilibrata risulta essere “l’asso nella manica” a disposizione di ogni appassionato, per poter ottenere soddisfazione e successo in questo meraviglioso hobby.

Ci tengo a precisare che il mercato delle koi offre una grandissima varietà di mangimi, reperibili sia presso i Garden center sia presso i negozi specializzati.

Le referenze menzionate in questo articolo sono le stesse che io utilizzo per le mie koi e che ho testato in diversi anni di studi a tavolino e di esperienza sul campo, coadiuvato dalla professionalità e dalla competenza di personale specializzato in tema di alimentazione dei pesci.

La primavera è la stagione più delicata per le Koi, dato che, durante l’inverno, l’attività del loro sistema immunitario è parecchio  diminuita e con il rialzo delle temperature gli organismi patogeni si mettono in moto molto rapidamente.

il proverbiale appetito delle karashigoi

 A questo punto, bisogna fare ripartire quanto prima l’attività del sistema immunitario dei pesci e l’unico modo è utilizzare mangimi di elevata qualità, contenenti appositi “pacchetti immunostimolanti”.

Durante le fasi che precedono la primavera, oltre ad alimentare le Koi come ho spiegato sopra, controllo regolarmente la qualità dell’acqua con gli appositi kit di analisi Jbl.

In particolare, trattandosi di un periodo molto piovoso, bisogna monitorare costantemente il valore della durezza carbonatica “KH” che potrebbe scendere sotto valori limite, oltre i quali, questa famiglia di sali, non riuscirebbe più a garantire l’effetto tampone sul pH.

Se il valore di KH dovesse scendere sotto i 7d* KH occorre ripristinare la concentrazione di sali minerali dosando gradualmente il KH+.

sali minerali KH+

Dal momento che le Koi rimettono in moto il loro metabolismo, è buona norma ricominciare con una regolare somministrazione di batteri depuranti che andranno a rinvigorire e a rinnovare le colonie batteriche del filtro e del fondo.

le koi iniziano a muoversi

La riattivazione dell’attività biologica del laghetto deve essere curata con estrema attenzione, poiché altrimenti si potrebbe concretizzare il rischio di un precipitoso peggioramento della qualità dell’acqua sotto forma di accumulo di ammoniaca o nitriti, tutti composti potenzialmente mortali per i pesci. 

Oltre a creare le migliori condizioni ambientali per una ripresa dell’attività delle Koi, la regolare somministrazione di batteri e di KH+, scongiura in maniera del tutto naturale, la formazione delle temute alghe filamentose.

La gestione consapevole del laghetto e delle koi in questo delicatissimo periodo consente alle carpe di affrontare nel migliore dei modi la stagione riproduttiva e ci permette di godere pienamente e serenamente delle bellezze che la primavera ci regala, dentro e fuori dall’acqua.

Gli effetti delle variazioni della temperatura sul metabolismo delle koi

Le koi, come tutti i pesci, sono organismi eterotermi.
Questo significa che la loro temperatura corporea è identica a quella dell’ambiente che li circonda, cioè l’acqua.
La velocità del loro metabolismo è strettamente influenzata dall’alternanza delle stagioni.
All’interno di ogni singola cellula del corpo del pesce, gli enzimi regolano la velocità delle reazioni chimiche.

 I pesci tropicali riescono a vivere in uno stretto range di temperatura, poiché al di sotto dei 18/16 gradi centigradi i loro enzimi non sono più in grado di funzionare correttamente e così l’intero meccanismo fisiologico si blocca provocando la morte del pesce.
Al contrario, le koi sono pesci di acqua temperata, perfettamente in grado di vivere all’aperto, alle nostre latitudini, tanto in estate quanto in inverno.

Questa proverbiale adattabilità delle carpe è garantita dal fatto che possiedono enzimi in grado di funzionare alle alte temperature estive ed altri perfettamente efficaci anche a pochi gradi sopra lo zero.
Ovviamente, l’attività metabolica invernale di una koi è nettamente diversa da quella estiva e il passaggio da una condizione all’altra avviene attraverso i graduali cambi di stagione.

Da un punto di vista fisico, l’acqua è un fluido caratterizzato da un elevato calore specifico e questo garantisce delle variazioni termiche lente.

Nei laghetti di grandi dimensioni, la temperatura dell’acqua varia con estrema gradualità consentendo ai pesci di adattarsi senza problemi. 
A questo punto, è importante distinguere le variazioni stagionali dagli sbalzi termici, dato che le koi sono perfettamente adattate alle prime ma, in quanto organismi eterotermi, non tollerano i secondi.

Un cambio dell’acqua fatto con poca attenzione, un’acclimatazione frettolosa o assente così come un trasporto effettuato insacchettando i pesci con acqua più fredda di quella della vasca di provenienza, sono tutti ottimi sistemi per compromettere seriamente lo stato di salute delle koi.
Questa non è una opinione personale, ma un dato scientifico oggettivo, non opinabile.
Troppo spesso, si tende a sottovalutare la pericolosità degli sbalzi termici che, al contrario, possono risultare letali anche per grosse carpe.

Inoltre, in caso di sbalzi di temperatura non letali, gli effetti di uno stress termico possono manifestarsi anche dopo diversi giorni e questo rende più complicato collegare il malessere del pesce con il fattore scatenante.
Le conseguenze di uno shock termico variano dalle più lievi come apatia e letargia, fino ad arrivare a pericolosi effetti secondari quali le parassitosi da ciliati e flagellati.
Se si arriva a questo punto, è fondamentale intervenire quanto prima per evitare che le parassitosi indeboliscano il pesce in maniera irrecuperabile.

Personalmente, ritengo che il trattamento col sale sia la prima scelta per la cura dei postumi da shock termico, anche perché si tratta di una terapia priva di effetti collaterali e stress aggiuntivi per le carpe.

Italian Koi Show 2015

Tanti mesi di lavoro ed eccoci qua. Italian Koi Show è realtà e io ci sono! Sabato 16 e Domenica 17 Maggio vi aspetto a Italian Koi Show, edizione 2015. Le mie koi, tutti i prodotti per la cura e la salute delle koi, ma anche per una gestione corretta e consapevole dell’ambiente in cui esse vivono. Emozionante sarà anche la partecipazione alla gara di quest’anno: le mie koi sono prontissime! Vi aspetto!

Il programma completo e’ disponibile su www.italiankoishow.it, scaricalo subito!

Curare le Koi con il Sale:

L’aspetto più importante per chi si cimenta nell’allevamento delle koi è quello di mantenerle in perfetta salute.

Sono tre le regole d’oro che occorre rispettare al fine di perseguire questo obbiettivo:

1)   Acquistare solo pesci di sana e robusta costituzione.

2)   Mantenere sempre una buona qualità dell’acqua del laghetto.

3)   Alimentare le koi in maniera corretta, con una dieta varia, bilanciata e caratterizzata da un elevato standard qualitativo dei mangimi.

Potrebbero sembrare concetti banali ma tutte e tre assieme, queste regole costituiscono la chiave del successo nel mantenimento e nella crescita delle koi.
Nove volte su dieci, le koi si ammalano perché non vengono rispettate le suddette regole. Le malattie delle koi sono tante e diversificate così come lo sono i relativi trattamenti curativi.

Per risolvere un problema di salute delle koi occorre affrontare la situazione rispettando questa sequenza logica di interventi:

1)    Effettuare una diagnosi precisa della malattia (analisi al microscopio o antibiogramma).

2)    Analizzare ed eliminare i fattori che l’hanno provocata (controllare se sono state rispettate le 3 regole di cui sopra).

3)    Scegliere il trattamento più efficace in base al risultato della diagnosi.

Nella scelta del trattamento da effettuare, è fondamentale esaminare accuratamente gli effetti collaterali che l’utilizzo di una determinata sostanza comporta, tanto sulla fisiologia dei pesci, quanto sull’intero ecosistema del laghetto.

La grande diffusione che l’hobby del laghetto ha avuto negli ultimi anni, ha spinto il mercato verso un aumento dell’offerta dei trattamenti curativi.

Purtroppo, un frequente impiego sconsiderato di questi prodotti, spesso dosati con concentrazioni e tempi sbagliati, ha favorito lo sviluppo di organismi patogeni sempre più resistenti, con la conseguente necessità di utilizzare trattamenti sempre più potenti e quindi, con effetti collaterali decisamente più marcati.

In tanti anni di esperienza nella cura delle koi, ho potuto constatare che, quando l’appassionato si accorge di un problema di salute nei propri pesci, nella maggior parte dei casi  viene colto da una sorta di panico che lo porta ad utilizzare il prodotto più potente che riesce a trovare e che spesso gli viene consigliato dal negoziante specializzato, saltando completamente la sequenza di passaggi logici trattati qualche riga sopra.

Nella maggior parte dei casi, tutto ciò porta a peggiorare drasticamente la situazione.

Oltre a fallire nella cura dei pesci, bisognerà fare i conti con le gravi ripercussioni che certe sostanze hanno sull’intero ecosistema del laghetto ed in particolare sul filtro biologico.

Fortunatamente, per curare buona parte delle parassitosi delle koi, esiste un “trattamento ad impatto zero”: il sale (cloruro di sodio).

Tra le patologie di tipo parassitario, le più frequenti sono provocate da microorganismi delle famiglie dei ciliati (es. chilodonella, hyctio, trichodina, tetrahymena) e dei flagellati (es. costia necatrix), tutti sensibili al sale.

Il sale, se correttamente dosato, crea uno stress osmotico sui parassiti che, non avendo i reni, non sono in grado di compensare in gradiente di concentrazione ionica.

Inoltre,

il sale è economico.

il sale non danneggia i batteri del filtro.

il sale non ha effetti negativi sulla fisiologia dei pesci, nemmeno nel lungo periodo.

il sale svolge un’azione decongestionante sulle mucose della pelle e delle branchie dei pesci.

Per trattare con successo i parassiti sopra citati, occorre mantenere una concentrazione salina costante del 7-8 ‰ (7-8 per mille) che equivale a 7-8 g/l (7-8 grammi per litro) per un arco temporale di almeno 30 giorni.

Per fare ciò è indispensabile munirsi di un buon rifrattometro, con scala completa da 0 a 100 ‰ e conoscere alla perfezione la capacità del laghetto.

Una volta fatto il calcolo del quantitativo di sale necessario, si dosano i due terzi il primo giorno e il rimanente al quarto giorno; ad esempio, se ho un laghetto da 5000 litri, per ottenere una concentrazione salina del 7‰ dovrò procurarmi 35 kg di sale.

Di questi 35 kg ne doso 20 kg il primo giorno. Al terzo giorno, verifico con il rifrattometro che i calcoli effettuati siano stati fatti correttamente, in particolare per quel che riguarda la stima della capacità del laghetto.

Se ho fatto bene i conti, il rifrattometro dovrebbe segnare una concentrazione salina del 4‰. Al quarto giorno, doserò i rimanenti 15kg di sale.

Questa relativa gradualità nel dosare il sale ha tre funzioni principali:

1)    Consente di apportare correzioni in itinere, in quelle situazioni in cui è difficile stimare con precisione la capacità del laghetto.

2)    Consente ai pesci di adattare i loro processi di osmoregolazione.

3)    Evita che l’attività metabolica delle colonie batteriche del filtro venga inibita da un rapido innalzamento della salinità.

È comunque buona norma controllare settimanalmente il contenuto di ammoniaca(NH) e nitrito (NO) durante tutto il periodo del trattamento, anche perché, sarebbe impensabile pretendere di curare con successo dei pesci che vivono in un ambiente dove sono presenti queste pericolosissime sostanze.

Nel caso in cui i suddetti valori dovessero accennare ad alzarsi, occorrerà intervenire immediatamente con un abbondante cambio parziale dell’acqua, ripristinando la salinità e aggiungendo un prodotto professionale specifico a base di batteri depuranti in grado di lavorare anche in queste condizioni di cura.

Eventuali piogge durante il periodo del trattamento possono modificare in maniera indeterminata il livello della salinità. Siccome è pressoché impossibile calcolare con precisione la quantità di pioggia caduta, l’unico sistema per riportare la concentrazione del sale a livello desiderato è l’utilizzo del rifrattometro.

Con questo strumento è molto facile controllare il livello di diluizione apportato dalle acque meteoriche ed effettuare le dovute correzioni.

Inoltre, qualche giorno dopo l’inizio del trattamento col sale, potrebbe essere opportuno effettuare un cambio parziale dell’acqua e una pulizia del filtro meccanico per ridurre il carico organico prodotto dalla massiccia decomposizione delle alghe provocata dall’aumento della salinità.

Anche in questa situazione l’utilizzo del rifrattometro risulta indispensabile per poter ripristinare la concentrazione salina desiderata.

Al termine del trattamento, la salinità viene riportata a zero tramite cambi parziali dell’acqua, senza il ripristino della concentrazione del sale.